Guerra valutaria o guerra commerciale la parola d’ordine è MAGA

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Make America Great Again è l’acronimo che sta dettando i tempi dei mercati finanziari globali.

Al momento i capitali americani imperano sui trend di mercato creando correlazioni ed andamenti molto divergenti ma che in definitiva premiano costantemente gli asset finanziari USA, che sono anche lo strumento che permette agli USA (ed agli investitori internazionali) di avere i capitali disponibili per comprare gli asset USA soprattutto obbligazionari.

Negli ultimi giorni è lo stesso Trump che è sceso in campo per mediare i trend in atto di forza del dollaro che potrebbero mettere in discussione le strategie  messe in atto dalla sua amministrazione per riassorbire i capitali finanziari USA in giro per il mondo, per gestire la quota del debito pubblico e per poter istruire l’importante piano di investimenti previsto.

La manipolazione geopolitica è al suo top ed evidentemente non riguarda solo gli USA.

Pensiamo ad esempio alla forza degli ultimi mesi dell’acciaio o del petrolio susseguente al primo caso ai dazi e nel secondo caso agli embarghi oppure ancora allo steepening forzoso della curva dei tassi USA dopo le parole di Trump.

Tutti gli attori politici agiscono sui mercati per difendere le proprie posizioni di forza, le manovre più evidenti sono della Cina e del blocco che si oppone allo strapotere USA sui mercati. ma mentre i dati Cinesi sono opachi quelli di altre realtà sono molto più limpide e mostrano strategie di liquidazione degli asset USA ed una diversificazione degli investimenti verso altre asset class. (vedi il grafico sottostante con una riduzione delle obbligazioni governative USA detenute dalla banca Centrale Russa ed un contemporaneo aumento delle riserve in oro).

DigspRVVsAEk7MH.jpgLa de-dollarizzazione di diverse economie è un trend che dovrebbe consentire a diverse economie di sopravvivere ad un ulteriore rialzo dei tassi USA.

Aumentare e diversificare le proprie riserve rispetto a quelle in dollari dopo la crisi europea degli scorsi anni vede di nuovo premiare l’oro come asset di rifugio.

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In questo contesto però la geopolitica non agisce solo a livello di esecuzione di differenti strategie ma agisce anche e soprattutto a livello di aspettative che sui mercati sono tutto.

La guerra dei dati esplosa con l’affaire Cambridge Analytica è solo la punta dell’iceberg di una guerra di trasformazione di miliardi di dati ed opinioni per costruire il sentiment dei mercati in maniera tale da evitare la creazione di bolle speculative ma anche comprimendo l’animal spirit dei mercati e quindi gli stessi rendimenti.

Negli ultimi anni siamo passati da un allarme ad un altro costruito anche sfruttando le paure successive alla grande recessione del 2008. E queste ansie hanno limitato di volta in volta le esuberanze dei mercati di rischio facendo di fatto concentrare la liquidità sugli asset privi di rischio che nel frattempo venivano offerti in grande abbondanza per permettere agli stati di far fronte ai danni della grande recessione.

l’Hard Landing cinese, Brexit, break out dell’Euro, la crisi emergente ecc… ci hanno accompagnato negli ultimi anni con una regolarità impressionante ma senza causare quei danni che tutti immaginavano.

Oltre a questo un secondo fenomeno si è innestato con le elezioni di Trump e cioè il riassorbimento dei capitali USA turistici nel corpo del mercato USA che ha portato ad una lenta ma inesorabile sopravvalutazione degli asset USA nella presunta superiorità dei rendimenti degli stessi, rendimenti gonfiati artificiosamente dalle regole contabili che ne avvantaggiano alcune pratiche (buyback ecc…).

Il MAGA ha avuto appunto i suoi maggiori effetti la dove la potenza USA ha la sua maggiore forza e cioè sui mercati finanziari.

A tal riguardo portiamo alcuni esempi:

1)Gli asset azionari USA sono stati negli ultimi anni i più acquistati con l’accentuazione del differenziale di forza proprio quando è cominciata la politica di QT USA, mentre il resto del mondo è in una fase correttiva non ancora negata gli USA hanno ripreso buona parte delle perdite della correzione precedente.

Certamente la forza dei mercati USA è data da una parte dalle small cap e dall’altra da alcune big cap tecnologiche che hanno tenuto in piedi l’intero mercato e ne hanno mascherato una certa debolezza.

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Questo è anche razionale in considerazione delle politiche implementate da Trump che al momento hanno favorito soprattutto queste due tipologie di aziende in una fase in cui la liquidità disponibile si contrae.

2)I rendimenti obbligazionari HY che in una fase di contrazione di liquidità e di rialzo dei tassi tendono ad aumentare i propri rendimenti più in fretta dei titoli cosi detti sicuri mostrano che al contrario della correzione del 2015/2016 sono i rendimenti emergenti ed europei che stanno allargando maggiormente i propri rendimenti mentre la crisi shale che aveva connotato le obbligazioni ad alto rendimento USA nel precedente periodo sembrano oramai un lontano ricordo con una produzione che grazie al prezzo del petrolio (ed agli imbarghi imposti) è tornato a salire e rendere profittevole le estrazioni.

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3)I cambi hanno visto negli ultimi mesi un robusto recupero del dollaro ed una contemporanea debolezza di alcune valute emergenti con forte debito estero soprattutto in dollari.DiqBfL9WkAMfFd1.jpg

I più penalizzati sembrano proprio quelli che geopoliticamente danno i maggiori problemi agli USA ma è evidente che c’è stata una chiara forza del dollaro ma non è detto che la loro debolezza sia accettata ed infatti non viene vista come una manipolazione del mercato mentre altre debolezze vengono subito maggiormente analizzate per forzare i mercati ora in una direzione ora in un altra.

Venerdì Trump ha twittato:

“China, the European Union and others have been manipulating their currencies and interest rates lower, while the U.S. is raising rates while the dollars gets stronger and stronger with each passing day – taking away our big competitive edge. As usual, not a level playing field. The United States should not be penalized because we are doing so well. Tightening now hurts all that we have done. The U.S. should be allowed to recapture what was lost due to illegal currency manipulation and BAD Trade Deals. Debt coming due & we are raising rates – Really?”

Aldilà delle critiche alla FED poi in parte rientrate c’è una chiara irritazione per le politiche monetarie degli altri paesi che in realtà sono solo in ritardo rispetto al ciclo USA.

La sopra/sotto valutazione di un cambio è sempre difficile da verificare ma una delle tante misurazione ci dice che i valori oscillano regolarmente tra i due fattori ed ad esempio ora il più grande manipolatore dei cambi sembrerebbe essere il Giappone che però non viene mai menzionato mentre la Cina, nonostante la forte correzione di queste ultime sedute risulterebbe ancora con una valuta sopra valutata.

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In queste condizioni di continuo intervento geopolitico sugli asset finanziari non c’è però un vero scontro multipolare ma piuttosto il  tentativo delle varie aree di conquistare ciò che gli interessa a discapito di ciò che interessa meno.

Gli USA sono disposti a ritirarsi parzialmente dal globo ma in cambio di un rafforzamento della propria economia domestica, la Cina è disposta a conquistare alcuni degli spazi lasciati vuoti dagli USA  e quindi è disposta a cedere dal punto di vista economico ma senza causare un hard landing alla proprio economia, l’Europa cerca un autonomia decisionale ed è disposta a fare da bilancia di potenza ma in una fase in cui le singole nazioni mostrano delle forti contraddizioni sulla scena internazionale.

Difficile quindi fare un analisi dei mercati senza avere in testa questo confronto in atto di cui i risultati sono ancora incerti ma che segneranno molto probabilmente un nuovo ordine mondiale anche se non ancora definitivo.

Quando improvvisamente trovi la valuta cinese fortemente correlata all’oro e contemporaneamente con una parità abbastanza stabile con gli SDR emessi dal FMI è evidente che ti trovi di fronte a forze ed eventi particolari dove le spiegazioni sono molteplici e molto probabilmente tutte parzialmente vere.

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E questo lo ripetiamo in un cotesto in cui l’utilizzo dei big data è stato strumento di controllo dell’emotività dei mercati forse più dei sistemi automatici di trading perché ha consentito ai mercati di costruirsi potenti anticorpi emozionali.

Questo periodo dei mercati dura però da molto tempo; il nervosismo di inizio anno è un sintomo dell’insofferenza degli stessi, il mondo delle criptovalute ha fatto da parziale sfogo allo spirito animale dell’Homo finanziario ma l’interesse è via via scemato come il volume transattivo sembra dimostrare.

Il controllo dei mercati sta passando dalle autorità monetarie a quelle politiche ma il cambio per gli investitori potrebbe anche essere più negativo.

O si riesce a costruire una nuova Bretton Woods con adeguate infrastrutture (nuovo GATT/WTO, nuovo FMI ecc…) o le tensioni almeno sui mercati deflagreranno in maniera clamorosa e probabilmente senza preavviso.

Ad oggi il vantaggio USA sembra ancora significativo ma le dimensioni dei contendenti non sono quelle del Giappone anni 80.

 

 

 

Prospettive

Chi ci segue da un certo tempo conosce il nostro progetto di educazione finanziaria.

Da una parte stiamo implementando la costruzione di portafogli modello in maniera automatica al fine di dare le indicazioni di trend e di forza relativa di un asset class rispetto ad un altra e quindi di corretta allocazione dei capitali

Dall’altra, attraverso un analisi di tipo semi-discrezionale cerchiamo di andare in profondità su questi trend per verificarne la forza, la convinzione del mercato e soprattutto i rischi che trend perduranti solitamente comportano.

In poche parole andiamo alla ricerca dei veri cigni neri, cioè degli eventi imprevisti o quantomeno con bassa probabilità di riuscita che valutiamo invece sottostimati dai mercati

Esistono in realtà sui mercati algoritmi che fanno entrambi questi lavori in maniera automatica e sebbene molti analisti ritengano che per il 2018 l’intelligenza artificiale sarà in grado di superare l’intelligenza umana riteniamo che al momento ci sia ancora spazio per identificare il sottotraccia attraverso un meticoloso lavoro di analisi discrezionale.

In questo contesto non possiamo dimenticare che viviamo una situazione di mercato senza precedenti nell’epoca moderna, dove l’interventismo delle banche centrali e delle autorità per limitare i danni delle bolle finanziarie gonfiatesi nelle ultime anni, la distruzione produttiva intervenuta con la nuova rivoluzione tecnologica e una situazione demografica che vede la presenza di abbondante capitale la dove le popolazioni tendono ad invecchiare ha portato ad eccessi valutativi su  molte asset class ed in particolare sul mondo obbligazionario.

Dopo le dichiarazione di coordinamento monetario di fine febbraio che abbiamo indicato come spartiacque effettivo di una prima parte dell’anno negativa e di una seconda parte positiva un nuovo flusso di liquidità ad investire i mercati è partito prima dalla BCE ed ora anche dalla Boj che ha deciso di aumentare l’acquisto di ETF.

Nei successivi due grafici  si comprendono bene l’intensità degli acquisti oramai vicino ai picchi del 2009 ma in una situazione economica apparentemente diversa e l’effetto distorsivo sui mercati che vede oramai una grande quantità di titoli obbligazionari corporate quotare con rendimenti negativi.

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Se il mercato obbligazionario mondiale risulta con valutazione senza precedenti il mercato azionario americano non risulta certo a sconto nonostante le valutazioni del 2000 e del 2009 risultavano più elevate.

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Più a sconto risultano invece gli altri mercati azionari che in questi anni, con i vari problemi veri o presunti accumulati hanno visto fuoriuscita di capitali a favore del mercato americano.

Se si osserva l’MSCI World Ex USA si può vedere il pattern grafico che avrebbe dovuto essere quello tipico post bolla ma che per gli USA non si è verificato grazie alle politiche di QE ma soprattutto grazie alla cattura di capitali prima redistribuiti in giro per il globo e che ha permesso ad una certa fetta della popolazione USA di non patire rovesci maggiori sui propri risparmi vista la maggiore esposizione dei propri capitali ai mercati finanziari ed in particolare ai mercati azionari.

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Ora l’obiettivo non dichiarato ma abbastanza evidente dei banchieri centrali è quello di permettere agli USA una normalizzazione dei tassi che non dreni però la liquidità necessaria a tenere in piedi i propri mercati e contemporaneamente permettere anche agli altri paesi di riemergere da una fase di difficoltà anche acuta in certi casi seguendo le orme degli USA per poter in un secondo tempo normalizzare i tassi.

Se da un punto di vista finanziario questo potrebbe anche essere possibile il rischio di un deragliamento delle strategie è molto acuto.

Certamente le numerose crisi senza precedenti che poi non hanno manifestato sul breve gli effetti previsti (Grecia, Cina, Brexit, petrolio ecc…) hanno permesso di anestetizzare i mercati rispetto alle crisi precedenti molto reali e molto più distruttive. Questo esercizio ha di fatto vaccinato il sentiment degli operatori per evitare l’eccesso di ottimismo che potrebbe evitare la bolla nel complesso dei mercati azionari ma sicuramente l’ha creata sul mercato obbligazionario e questo è in realtà potenzialmente più distruttivo.

Ora i nuovi massimi del listini USA sono in realtà giustificati da un miglioramento complessivo delle aspettative sui prossimi dati trimestrali grazie ad un miglioramento significativo delle aspettative sui ricavi ed anche in parte sugli utili.

Il resto del mondo è più abbordabile ma anche in questo caso lo sconto è giustificato dalle minori performance complessive delle aziende di quei paesi.

In questo trend si innesta la rivoluzione tecnologica in corso che è una rivoluzione che in questa fase sta distruggendo lavoro piuttosto che crearlo andando ad abbattere tutta una serie di lavori che rendono ancora più incerto il futuro per larga parte delle popolazioni occidentali e che creano come reazione, un sentimento negativo verso il flusso migratorio provenienti dai paesi in via di sviluppo.

Il problema appunto è che c’è una fetta sempre più larga della popolazione esclusa dall’andamento economico globale e la concentrazione del capitale a livello globale con giganti quali Amazon ed E-bay che prendono sempre più il posto dei piccoli operatori locali.

Il dibattito in USA sulla necessità della crescita dei salari e i primi effetti su questo dibattito che stanno vedendo una accelerazione di questa crescita sono figli di questi timori. Questo però potrebbe frenare la crescita degli utili statunitensi e quindi avere un impatto sul mercato dei capitali americani.

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Inoltre c’è un problema del debito privato USA che per il momento è sottotraccia ma in caso di rialzo dei tassi potrebbe ritornare a pesare su una fetta dell’economia USA.

I consumi della parte debole della popolazione USA sono ripartiti grazie alla leva del debito dopo che a causa della crisi del 2008 la percentuale di popolazione con basso scoring creditizio e debito crescente è scesa fino al 20% dai picchi del 40% ed oltre di inizio 2000.

La stessa classe di rischio ha oggi oltre il 30% della popolazione con debito in crescita.

E se osserviamo nello specifico il debito per finanziare l’acquisto dell’auto la parte della popolazione con credit score tra i più bassi ha visto tornare il livello della popolazione con debito crescente sopra i picchi del 2000; un campanello d’allarme per l’economia USA ed anche per il settore automobilistico esposto su quei mercati. (soprattutto nella gamma bassa di produzione).

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Potrebbe quindi partire una nuova crisi del credito con epicentro gli USA? Questo non lo pensiamo ma certamente l’economia americana comincia da un lato a risultare surriscaldata ma dall’altro non è ancora riuscita ad includere una fetta significativa della popolazione in questa crescita se non con l’ausilio di una pericolosa leva del debito.

Possibile quindi finalmente un nuovo switch di valore dagli asset USA al resto del mondo soprattutto se il tema del vento è cambiato per l’Europa dovesse manifestarsi in maniera più robusta di quello visto fino ad ora e se le materie prime non correggessero di nuovo in maniera significativa.

Ma questo solo se il coordinamento monetario e quindi le decisioni sui cambi continueranno  ad evidenziare un tentativo di coordinamento complessivo tra i vari paesi.

Nel frattempo e più sul breve i listini americani cominciano a mostrare segni di esuberanza che si riverberano un po’ su tutti i mercati (basti pensare all’andamento del titolo Nintendo sul listino giapponese).

In realtà l’indice americano è da 12 giorni intrappolato in un trading range alto come spesso ne abbiamo visti in questi anni e che si sono spesso risolti in una rottura rialzista.

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Certo la candela weekly è una candela di indecisione ma a nostro avviso con il trend già consolidato da diverse settimane se non capita niente solitamente agosto ha un andamento che riflette il periodo precedente.

Gli indicatori di sentiment come la media mobile a 18 giorni del DSI è molto alta ma ricorda un po il pattern grafico di fine 2013 e quindi potrebbe avere ancora un po di spazio prima di indicare correzione.

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A nostro avviso monitorare la media mobile a 50 giorni del TRIN potrebbe essere un buon strumento per individuare un eventuale inversione. Un suo significativo aumento di valore indicherebbe molto probabilmente la fine della fase di rialzo che abbiamo vissuto in queste settimane.

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Come dicevamo riteniamo possibile che in una fase positiva i mercati più indietro dovrebbero performare meglio dell’indice USA mentre in una fase difensiva il mercato americano dovrebbe fare meglio grazie alla presenza di una serie di titoli tecnologici cosi terrorismodetti distruttori di business e quindi che stanno mostrando potenziali di crescita significativi.

Sui cambi regna la legge del movimento laterale del dollaro che prosegue su questa strada per non creare problemi ne all’economia domestica ne agli altri paesi mentre lo Yuan si sta assestando rafforzandosi ed allontanandosi dai minimi di periodo.

Diminuita la correlazione tra prezzo del petrolio ed obbligazioni HY USA anche perché il peso di queste obbligazioni dopo diversi default e ristrutturazioni è sceso rispetto all’indice generale e poi il mercato attualmente sconta il fatto che il prezzo non dovrebbe fare nuovi minimi ed evidenzio come Cesare avesse indicato in un precedente minimo la possibilità di un bottom, magari di breve del petrolio.

Se il prezzo del petrolio scendesse ulteriormente (diciamo sotto i 40 dollari al barile) allora i timori sistemici potrebbero di nuovo presentarsi sui mercati e sul settore.

In conclusione stiamo seguendo il trend ma in un crescendo di scetticismo e speriamo che la rotazione settoriale possa far rivalutare le asset class rimaste indietro rallentando quelle che sono già in bolla da tempo  e ritardare quindi i rischi di un rientro complessivo dei tassi e l’aggiustamento conseguente della valutazioni azionarie.

Inoltre non dimentichiamo i rischi geopolitici sempre più elevati che attualmente si manifestano in un significativo aumento degli episodi terroristici ma che potrebbe prima o poi sfociare in qualche guerra quantomeno di dimensione regionale ma che potrebbe coinvolgere schieramenti attualmente impensabili drenando risorse all’economia finanziaria e quindi alle valutazioni dei mercati (oltre che essere distruttiva per l’umanità intera).

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I motori dei movimenti dei mercati nei prossimi mesi

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Questo bel grafico preso a prestito da un report di Stifel Nicolaus ci serve per mettere a fuoco i macro temi che stanno facendo da guida ai mercati in questi anni e che a nostro avviso saranno ancora il motore che ci guiderà nel prossimo futuro aldilà dei movimenti di breve e medio periodo governati anche da altri fattori.

Lo scopo di questo articolo è fare una ipotesi di lavoro per i prossimi mesi che poi possa essere da guida per i movimenti futuri dei mercati finanziari.

Per far questo però dobbiamo prima individuare i macro trend del recente passato.

Molti dei movimenti degli ultimi anni partono inevitabilmente dal comportamento della FED durante e dopo la crisi dei mutui subprime. Probabilmente nell’ultimo vero atto effettuato da parte della FED come banca centrale dominante dello scacchiere finanziario mondiale, la FED  ha agito in maniera contro ciclica rispetto alla crisi del debito irradiata dai mutui subprime e che ha colpito l’intero sistema finanziario mondiale attraverso vere e proprie emissioni di liquidità effettuate con le politiche di quantitative easing oltre alla costituzione del TARP, la bad bank USA per pulire i bilanci delle principali banche statunitensi.

La liquidità immessa nel sistema insieme alla svalutazione della valuta americana ha di fatto consentito all’economia USA di mitigare gli effetti della crisi rispetto ad esempio alla grande crisi deflazionistica degli anni 30.

Queste politiche però hanno avuto degli effetti sugli altri paesi mondiali ed in primis sull’economia dei paesi avanzati, in primis Europa e Giappone che si sono visti erodere quote di mercato dalle aziende USA oltre che ritrovarsi con una valuta forte e quindi tendenzialmente deflazionistica.

Come risposta quindi al rallentamento delle due aree, soprattutto quella dell’euro, alle prese con politiche di consolidamento fiscale e nonostante la riluttanza tedesca sono state via via implementate politiche di stimolo al sistema finanziario prima e di alleggerimento monetario poi per ribilanciare la forza delle proprie valute e stimolare la domanda del credito.

In questo contesto la Cina e tutti quei paesi emergenti che erano diventati la fabbrica del mondo nell’era della globalizzazione si sono visti costretti ad assorbire parte della deflazione esportata dalle economie avanzate subendo inevitabilmente una perdita in termini competitivi.

Il reorientamento contemporaneo di molte di queste economie verso una economia più orientata ai consumi interni ed il rallentamento causato dall’assorbimento delle svalutazioni competitive dei paesi avanzati ha di fatto causato un rallentamento di queste economie soprattutto nella componente più legata all’importazione di materie prime.

Il calo della domanda di materie prime sposato ad un boom dell’offerta derivanti dagli investimenti messi in atto negli anni precedenti hanno causato un marcato rallentamento dei paesi emergenti esportatori di materie prime che si sono visti costretti a loro volta o a svalutare o a liquidare parte delle riserve per poter sostenere le politiche di spesa pubblica effettuando di fatto un operazione di restringimento monetario sui mercati.

Questo rallentamento dei paesi emergenti legati alle materie prime ha di fatto rallentato ulteriormente l’export cinese che si è vista costretta nel corso del 2015  ad adottare a sua volta politiche di svalutazione controllata e contemporaneamente di difesa del cambio alle prese con un forte deflusso di capitali.

Spostare il cambio fisso da quello con il dollaro a quello di un paniere di valute che rappresentano i principali partner commerciali della Cina è il segnale che la Cina non era più disponibile ha subire le scelte monetarie USA in un momento in cui l’andamento delle due economie era comunque in divergenza e la forza del dollaro stava rendendo sempre più difficile la vita alle imprese cinesi.

Ma la vera ragione di rischio per la crescita cinese sono l’aumento significativo delle tensioni sociali che per una economia pianificata non possono essere tollerate ed è questa la vera ragione della svolta cinese in termini di politica valutaria.

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Naturalmente la svalutazione cinese ancorché controllata esporta a sua volta deflazione verso i paesi avanzati creando un circolo vizioso per cui gli stessi devono rallentare le politiche di restringimento fiscale o addirittura aumentarle per riuscire a limitare il calo delle aspettative inflazionistiche, cosa che crea un’ altra ondata di svalutazioni competitive con il rischio che mentre la svalutazione è un gioco a somma zero l’unica cosa che cresce con tassi sempre più bassi è la leva del debito.

Questo però mette in gioco la credibilità di istituzioni come la FED, che da tempo predicano la normalizzazione dei tassi.

E’ evidente quindi che l’economia è in un equilibrio instabile dove sono due i temi che mettono in apprensione i mercati:

1)Scelta monetaria della FED sbagliata

2)Svalutazione monetaria cinese esagerata

1)Nel primo caso la FED è chiusa in un angolo. Se rialza i tassi troppo in fretta la restrizione della liquidità potrebbe creare ulteriori problemi a molti paesi emergenti con grosse quote di debito in dollari ma anche al robusto andamento del credito domestico, se decide di riabbassarli mette in moto il circolo vizioso descritto precedentemente. L’unica strada percorribile è mantenere un tono tendenzialmente restrittivo ma agire con estrema lentezza e con un occhio alla valuta cinese.

2)Nel secondo caso occorre che le autorità cinesi riescano a controllare la svalutazione dello Yuan che deve essere molto lenta e graduale per non causare un ondata deflazionistica globale in una situazione di debito mondiale senza precedenti che porterebbe ad una recessione globale.

Su queste due partire si decideranno le sorti del mercato e certo gli affondi di queste settimane hanno contribuito ad aumentare le incertezze.

Il mancato coordinamento delle politiche monetarie delle due sponde del pacifico, l’aggressività degli hedge anglosassoni verso le debolezze cinesi non sono segnali incoraggianti.