Nuovi e vecchi scenari

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In un mese di Agosto movimentato, con volumi sugli indici americani tra i più alti dell’anno, segno che oramai tutti gli operatori tentano di costruire la propria operatività sfruttando i mesi maggiormente volatili perché con liquidità rarefatta, abbiamo vissuto la capitolazione definitiva dei mercati.

Però non una sola capitolazione ma diverse capitolazioni che non hanno portato ancora movimenti significativi sugli stessi ma segneranno il futuro dei mercati per i prossimi anni.

La prima capitolazione è ai live tweet di chi si pensa possa essere un market mover del mercato, sia che lo stesso dica cose vere o cose puramente politiche.

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Nelle ultime settimane la dipendenza ai tweet di Trump, alle contromisure cinesi, ai tweet dell’editore di giornale considerato vicino al partito comunista cinese e di nuovo alle dichiarazioni di Trump ha scatenato gli algoritmi in maniera pressoché impazzita portando a volatilità dei mercati sebbene senza eccessiva direzionalità. Addirittura gli asset si sono allineati alla provenienza geopolitica degli stessi con il cambio della valuta cinese più obbediente ai tweet dell’editore del Global Times mentre lo SP500 allineato alle dichiarazioni di Trump.

E’ evidente la politicizzazione dei capitali e dei mercati con l’interferenza della politica oramai diventata invasione necessaria a dare il sostegno necessario ai propri mercati azionari che soprattutto negli USA, diventano il motore per il necessario sostegno fiscale alle politiche espansive del presidente e per dare almeno alla parte più ricca della popolazione ulteriore capacità di spesa.

Con esso si può notare una dipendenza esasperata alle aspettative sui tassi da parte dei mercati con un legame, sicuramente esacerbato dei tweet di Trump, tra le aspettative di taglio dei tassi della FED ed i future azionari.

Se i tweet ed i commenti danno la direzione di breve è evidente che la composizione ed i rapporti di forza del nuovo mondo multipolare daranno la direzione ai mercati nel medio lungo termine. La ricerca dell’investimento obbligazionario anche a rendimento negativo segnala proprio la capitolazione a questa condizione di incertezza che non riguarda soltanto i due principali contendenti ma in realtà potrebbe segnalare un ansia globale a vedere il prima possibile il dispiegarsi dei nuovi rapporti di forza magari in maniera pacifica.

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Avevamo detto da tempo che l’accordo tra Cina e Stati Uniti, se mai ci sarà, non potrà contenere alcune materie essenziali per i due paesi e che vanno in rotta di collisione, dalla supremazia tech, agli approvvigionamenti energetici ed alimentari. Aver toccato questi aspetti ha portato ad una recrudescenza dei rapporti che non ha solo conseguenze sui mercati ma anche geopolitiche.

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Le tensioni in varie parti del mondo segnalano questo conflitto. A tal proposito non c’è da stupirsi che Hong Kong, paese sotto l’egida inglese fino a pochi anni fa diventi unno degli snodi dello scontro, hub finanziario tra i più importanti del mondo e quindi porta finanziaria per la Cina verso l’occidente. Dal punto di vista finanziario qualche operatore aggressivo sta scommettendo sulla debolezza del dollaro di Hong Kong e sulla fine del suo peg con il dollaro, evento foriero di una crisi finanziaria, ma noi non siamo tra questi in quanto pensiamo che la liquidità a disposizione del paese per difendere la sua valuta sia attualmente il doppio della sua base monetaria.

Quello che invece suscita la nostra attenzione è ancora una volta come le notizie vengono riportate con una finalità politica dai maggiori media internazionali e rilanciati quindi dai media nazionali meno informati. Proteste che sono per la maggior parte pacifiche ma con una numerosa frangia violenta vengono etichettate come proteste giustificate dall’oppressione cinese; lo stesso genere di proteste quando si sviluppano negli Stati Uniti o addirittura in Europa (vedi i Gilet Jaunes ad esempio) vengono invece etichettate come proteste ingiustificate e dove la descrizione delle violenze prende il sopravvento sulle componenti pacifiche ma determinate della protesta.

Perché ad un commentatore finanziario dovrebbe interessare questa differenza? Perché in un clima di polarizzazione bisogna stare molto attenti da quale fonti si prendono le notizie e quindi il grado di attendibilità delle stesse prima di fare investimenti che poi si potrebbero rilevare fallimentari.

Naturalmente la collisione più evidente è quella tra USA e Cina ma non si può pensare che gli altri paesi, coalizioni, accordi commerciali non vengano stressati da questa situazione in cui, riuscire a portare dalla propria parte conomica ora un paese ora un altro fornisce dei vantaggi competitivi nella disputa in corso.

I mezzi con cui questa sfida si sta conducendo sono quelli conosciuti ma la sfida impone a tutti icntendenti di sviluppare anche alternative plausibilie giustificabili per implementare politiche di sostegno alla propria economia.

La richesta di Trump alla FED rientra proprio in questo contesto, gli USA non hanno bisogno di un dollaro forte perchè già stanno attraendo i dollari turistici rimpatriandoli per cui la richiesta di tassi bassi ha sicuramente a che fare con la competitività del dollaro ma anche con la necessità di finanziare l’espansione del debito a tassi moderati.

La necessità di essere rieletto potrebbe però portare la sfida dal QE all’Helicopter Money cioè dal QE for rich al QE for people.

Non sappiamo se gli USA saranno costretti a fare questo passaggio, molto dipenderà dall’economia USA dei prossimi mesi e quindi dalla susseguente campagna elettorale ma nel caso è evidente che una tale politica avrebbe connotati inflazionistici ben più rilevanti che il QE attuale che si è sfogato primariamente sui mercati finanziari e sugli asset finanziari premiando anche titoli senza nessuna base economica.

Certo è che se il QE for all dovesse svilupparsi anche in versioni light, associare una maggiore potenziale domanda ad una possibile restrizione dell’offerta data da uno tra il trade war, il tech war o le commodities war potrebbe causare uno shock dell’offerta con implicazioni che ben pochi investitori viventi sono in grado di calvalcare per esperienza.

Questo sarebbe anche coerente con un bottom importante dell’obbligazionario e quindi con una aumento del costo del debito che necessiterebbe di sistemazioni creative.

Ma come detto negli ultimi interventi per succedere questo occorre che prima negli operatori si consolidi la percezione che ci sia un cambio di paradigma rispetto agli ultimi anni e spesso questo cambio di paradigma ha la necessità di una correzione importante che colpisca proprio i mercati dominanti e più forti del periodo.

Questi al momento sono stati la maggior parte dei mercati anglofoni che hanno ricevuto infusioni di capitali importanti che premiano la propria condivisione al modello economico della superpotenza dominante degli ultimi 100 anni che a sua volta mostra una forza relativa verso praticamente tutti i mercati mondiali.

Finchè il momentum e la forza relativa premierà questi mercati vuol dire che il mercato scommette che nel conflitto tra superpotenze il modello economico e la forza politica e militare degli USA avranno ancora una volta il sopravvento. D’altronde essendo la potenza incubent è anche naturale che in una fase di tensioni multipolari prima di abbandonare la barca dominante si attende che la stessa abbia almeno acqua nel motore.

Se invece si sviluppasse una correzione che colpisse con forza queste realtà non manifestando più la sovraperformance del periodo precedente  allora è possibile questo cambio di paradigma che per le resistenze dette sopra, per gli inevitabili conflitti, che si sperano solo economici, che si materializzeranno potrebbero portare allo scenario descritto prima e quindi ad una fase maggiormente inflazionistica dove gli asset finanziari sottoperformerebbero molti asset reali.

Naturalmente c’è chi spinge per evitare questo tipo di scenario; tra di essi la voce più autorevole si è sentita all’ultimo simposio di Jackson Hole, quando Mark Carney Governatore della banca Centrale Inglese ha invitato gli operatori a riflettere su una revisione complessiva dell’architettura monetaria attuale, attraverso la sostituzione della moneta di riferimento mondiale dal dollaro ad una valuta elettronica con caratteristiche simili alle criptovalute ma naturalmente controllata da un istituzione internazionale. Non molto diversa dalla proposta pre Bretton Woods da parte di J.M. Keynes di istituire il Bancor per regolare gli scambi internazionale, valuta che non venne mai presa in considerazione per l’opposizione americana che volle il dollaro al centro degli scambi.

Ora è evidente che la finestra per far digerire una tale valuta è molto stretta visto il crescere delle tensioni globali che rendono sempre più improbabile un tale e simile accordo oltre a quanto riservato dagli USA ai paesi che solo minacciano di utilizzare sistemi di scambi diversi da quelli di natura statunitense.

La volatilità ricercata disperatamente dagli operatori dei mercati finanziari ha quindi accentuato la fase conflittuale tra le potenze economiche globali ma ancora è poco chiaro chi potrà prevalere in questo scontro ed è evidente che chi vincerà probabilmente detterà le regole per i prossimi anni.

In questo scenario l’Europa latita e non sarà certo un G7 gestito con il french touch a cambiare la situazione; quando il continente è alle prese con frizioni interne che ancora faticano a ricomporsi ritardando di fatto ogni possibilità di sviluppare un idea di Europa più corrispondente agli interessi complessivi del continente.

 

Interconnessioni (2 Parte)

La fortissima discesa dei rendimenti obbligazionari safe, ma la relativa tenuta dei mercati azionari danno messaggi divergenti sulla situazione economica.

Da una parte il mercato obbligazionario sembra scontare un altra ondata deflazionistica e molto probabilmente una fase recessiva, mentre il mercato azionario non sembra confermare questo scenario. I dati macro sono contrastanti con un rallentamento complessivo con i dati manifatturieri probabilmente già in recessione ma quelli dei servizi in tenuta.

Il motivo di questa divergenza è a nostro avviso legata ai concetti spiegati negli ultimi commenti. La FED sarà costretta ad effettuare degli ulteriori ribassi dei tassi per ripristinare condizioni accettabili del mercato interbancario che possa attirare maggiormente compratori delle obbligazioni governative USA senza caricare tutto sulle spalle dei primary dealers. La FED sta tentando di dare una giustificazione economica a questi tagli e la guerra commerciale contribuisce a tenere fermi i capitali domestici USA ed a dare l’impressione di un rallentamento comunque rischioso per l’economia globale che possa infettare l’economia USA.

Solo se la curva dovesse irripidirsi improvvisamente nelle prossime settimane allora potremmo vedere una FED in ulteriore stand by.

Il gioco delle due forze politiche/monetarie USA serve a bilanciare gli eventuali errori che ora uno ora l’altra commettono anche per l’interdipendenza dei due fattori.

La forte discesa dei tassi complessivi può essere giustificata solo dalla consapevolezza del mercato che la FED sta per tagliare in maniera aggressiva i tassi e che questo taglio porterà ad un ulteriore ondata di tagli da parte delle banche centrali mondiali per controbilanciare gli effetti sui cambi oltre che per stimolare le loro economie maggiormente dipendenti dal sistema produttivo.

Questi tagli, nonostante la retorica della FED, sono necessari a ripristinare il normale funzionamento del mercato interbancario e non l’economia USA che ha subito un rallentamento ma che sembra stabilizzarsi così come l’economia mondiale.

Anche lo stop del QT due mesi prima ed a sorpresa ha avuto questa necessità.

Gli effetti invece di queste scelte saranno invece una perdita di credibilità delle politiche monetarie nel loro complesso, probabilmente il colpo decisivo all’idea che le politiche monetarie possano da sole sostenere la crescita economica.

I mercati stanno scontando questi tagli snobbando sia le revisioni degli utili, sia le revisioni delle aspettative di crescita ma come detto gli effetti potrebbero non essere gli stessi.

 

 

Interconnesioni

Una premessa: in questo articolo saremo lunghi e prolissi perché purtroppo il mondo è più complesso di un like e di un tweet.

Nel nostro ultimo articolo “strategico” parlavamo del loop creato negli ultimi due anni dal contrasto tra il presidente USA ed il presidente della FED.

Negli stessi giorni analisti di Bofa ed altri hanno ripreso il medesimo argomento supportandolo con un grafico molto simile a quello da noi presentato su questo sito.

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Nel grafico da noi realizzato c’era però un potenziale scenario futuro legato al variare della consapevolezza del mercato rispetto al loop generato:

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Questo tipo di aggiustamento solitamente avviene con una fase correttiva significativa degli asset di rischio che cambia il comportamento degli operatori e che rende obsoleto il paradigma precedente.

Al momento si sono sviluppate correzioni del trend in atto su diversi mercati a partire da inizio 2018, con correzioni che si connotano come bear market in quanto superiori al 20%. Altri mercati invece, tra cui quello americano ha vissuto una forza relativa significativa e sostenuta nel tempo che ha causato correzione di un certo tipo ma non profonde. Le motivazioni per cui certe realtà sono rimaste significativamente più deboli che altre sono  da ascrivere a componenti diverse e che cercheremo di analizzare anche in ottica di cambio di paradigma.

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Quello che si può notare è che la correzione dei mercati è cominciata con la significativa riduzione della liquidità mondiale cominciata ad inizio 2018 con il QT ed il rialzo dei tassi USA. Certo questo ha coinciso anche con un rallentamento economico.

Ma come possiamo vedere dai grafici successivi finchè la liquidità è abbondante i rallentamenti economici non hanno avuto impatto significativo sull’andamento dei mercati finanziari tranne per i paesi meno finanziarizzati (alcuni emergenti) mentre quando la liquidità comincia a scarseggiare le considerazione economiche e politiche cominciano a pesare in maniera significativa.

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Il rallentamento visto negli ultimi mesi  colpisce in maniera significativa il settore manifatturiero che in maniera anomala diverge significativamente dal settore dei servizi che sta mostrando solo negli ultimi mesi un certo rallentamento ma comunque sempre in espansione. Sappiamo che le economie avanzate hanno tutte un peso dei servizi dominante rispetto all’industria e questo riesce a mascherare almeno al momento la recessione industriale.

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Ad esso si aggiungono le tensioni internazionale che nessun occhio attento non può non vedere collegate tra loro in un pericoloso mix che può deflagrare in qualsiasi momento.

Mentre i paesi avanzati mostrano delle elite quantomeno compromesse moralmente, che non riescono a far uscire il dibattito dalla canea dello schieramento politico, i paesi emergenti sono maggiormente alle prese con la guerra commerciale e le tensioni sociali  e politiche procurate dal calo della liquidità ma anche dall’interferenza politica degli avversari politici.

Il caso Argentina di oggi è paradigmatico delle negatività che la situazione politica di un paese può comportare per i mercati finanziari quando la liquidità è in contrazione.

In questo contesto il mercato dei bond risulta ancora devastato dall’interventismo delle banche centrale anche se non siamo d’accordo con chi lo considera un mercato morto.

In realtà è un mercato che svolge ancora il suo compito di ammortizzatore della volatilità dei mercati di rischio nonostante i rendimenti negativi cominciano a raggiungere livelli preoccupanti per chiunque li voglia detenere.

Ma come detto negli articoli precedenti il rischio che le Banche Centrali si trovino costrette a consolidare i debiti statali è molto alto e questo vale anche per le obbligazioni USA nonostante i rendimenti sopra lo zero. Il motivo è il proibitivo costo dell’hedging del cambio USA che rende per un investitore non USA poco conveniente investire nei treasury.

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Al contrario di quello che si pensa invece, i flussi di capitale internazionali non hanno abbandonato il mercato Cinese ed anzi dall’inclusione del debito Cinese nel Global Aggregate Index i flussi in entrata sono cresciuti compensando almeno in parte gli eventuali flussi in uscita legati ai timori di crisi finanziaria.

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Certamente però il salvataggio di alcune banche cinesi avvenute nelle ultime settimane potrebbe far cambiare almeno in parte questo entusiasmo per gli asset cinesi nonostante al momento la situazione sia sotto controllo:

https://www.scmp.com/business/banking-finance/article/3022056/unit-chinas-sovereign-wealth-fund-takes-over-xiao-jianhua

Infine i mercati finanziari mostrano inversione della curva dei tassi che oltre che penalizzare la redditività delle banche tradizionali segnalano frequentemente rischi recessivi anche perché al lordo del QE, l’inversione dei tassi sarebbe anche più profonda di quello che i mercati mostrano.

Sull’argomento vorremmo comunque evidenziare che pur essendo un indicatore importante di rischi recessivi non è un indicatore definitivo; negli anni 40/50/60 del secolo scorso lo stesso indicatore ha più volte mostrato inversione sui mercati USA ma non ha segnalato recessione così’ come in Giappone e su altri mercati. Il fatto che ora il segnale sia molto più forte è dovuto alla finanziarizzazione dei mercati mondiali che ha spostato maggiormente il peso dei mercati sul settore finanziario che tradizionalmente patisce l’inversione della curva. Riteniamo che questo valga ancora adesso anche se in parte il mercato finanziario si è disconnesso dall’andamento delle banche tradizionali sia per i problemi regolatori a cui le stesse devono sottostare sia perché i canali di trasmissione monetaria si sono moltiplicati almeno nei mercati più avanzati.

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E’ logico però che un cambio di paradigma deve vedere una forte correzione degli asset dominanti degli ultimi anni e quindi in particolare di una correzione degli asset americani.

Questo può avvenire con un correzione dei mercati azionari e/o dei mercati obbligazionari che potrebbero cominciare a sentire le pressioni inflazionistiche derivante dalle politiche tariffarie dei vari paesi.

Vorrei far presente in questo contesto le inedite tensioni commerciali tra Corea del Sud e Giappone che alzano il tiro delle contese sulle più importanti supply chain manifatturiere globali.

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Ma anche con una correzione del dollaro che aumenterebbe le spinte inflazionistiche interne ma preserverebbe gli asset finanziari e quindi anche le tasse necessarie a sostenere parte del deficit ed i capital gain necessari a sostenere almeno  parte dei consumi e non ultimo per permettere a Trump di essere rieletto.

Tutto questo però necessiterebbe di un clima generale molto meno critico, con una collaborazione tra le varie realtà economiche invece che  un oramai non più virtuale conflitto tra potenze per la prossima egemonia mondiale.

Invece la corsa alle svalutazioni competitive ed ad un easing sempre più spinto complica la politica americana. Il Plaza Accord sembra lontano secoli mentre la divisione delle potenze economiche si delinea sempre più marcatamente attraverso i test missilistici della Corea del Nord, le tensioni di HK e tutte le spinte centrifughe che attraversano i continenti e le aree più critiche, dalla Brexit all’Iran per fare due esempi.

Certamente l’economia americana in questi ultimi anni ha mostrato una superiorità di rendimento che non si può negare ma la stessa non ha tanto a che fare con il gap tecnologico delle imprese USA ma piuttosto con una evidente e superiore componente finanziaria protetta dalla valuta di riserva mondiale.

In realtà i margini dei profitti dell’economia nel suo complesso mostrano un rallentamento ciclico significativo che le variazioni contabili di questi anni ed il leverage spinto non possono più mascherare. Sono i profitti delle aziende quotate che mostrano uno robustezza superiore che la retorica indica nella loro forza di leader globale mentre un analisi micro sembra dare un peso maggiore alle operazioni di buyback spesso finanziate con un espansione del debito delle imprese, o nei casi migliori con una significativa riduzione della liquidità in pancia alle imprese e quindi con una riduzione del potenziale di investimento di lungo periodo delle stesse.

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Ricapitolando:

La liquidità globale è in riduzione dal 2018 e dopo aver causato una serie di correzioni sui paesi emergenti ha raggiunto il cuore dell’impero finanziario, causando la reazione della banca centrale più importante del mondo. Questa reazione è stata però solamente vocale ed ha permesso al mercato di costruire posizioni speculative che hanno mascherato per un po’ l’assenza di liquidità. Le tensioni politiche e il continuo drenaggio di questa liquidità hanno però costretto gli operatori a smontare queste posizioni e la correzione attuale si sviluppa quindi proprio in questo contesto.

Il rischio che questa situazione stia per infettare il corpo del mercato economico è però ora molto alto in quanto anche il mercato occupazionale USA comincia a mostrare i primi segnali di debolezza ed un suo cedimento sarebbe il segnale recessivo più forte per i mercati.

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Se le tensioni globali tra le varie macro aree economiche dovessero recedere lo scenario più probabile sarebbe una certa debolezza del dollaro che dovrebbe fare da spinta reflazionistica agli asset mondiali che attraverso una moderata fase ribassista riuscirebbero ad attendere gli effetti della nuova ondata di easing globale per ripartire.

Ma lo diciamo subito è uno scenario improbabile visto il livello di tensione globale ora raggiunto.

Più probabile che prevalga una situazione di guerra fredda con soprattutto le due macro aree a confrontarsi nelle sfere di influenza con la possibilità che in breve le tensioni economiche potrebbero deflagrare in una marcata debolezza di uno dei due contendenti.

Difficile dire che prevarrà in questo conflitto ma se l’economia cinese si indebolisse ulteriormente ed il debito diventasse un problema potrebbero esplodere tensioni sociali inimmaginabili e i capitali fluiti in quell’area oltre ai capitali domestici accumulati grazie ai surplus degli ultimi 20 anni cercherebbero un porto sicuro che potrebbe essere rappresentata dall’economia americana che manterrebbe la sua sovraperformance rispetto agli asset globali garantendo all’economia USA stabilità in attesa degli effetti del nuovo ciclo di easing.

Se invece fosse l’economia USA a mostrare segni di debolezza marcati ed accelerati e soprattutto se il deficit USA cominciasse a diventare un problema,  diventa possibile  che  la sfera di influenza americana mostri la correzione maggiore ed i capitali potrebbero cominciare a fuoriuscire dal paese prima che l’effetto dell’easing si possa dispiegare causando una forte correzione del dollaro, legato anche alla necessità di consolidare il debito statale e quindi favorendo tutti gli asset che negli ultimi 10 anni hanno sottoperformato quelli USA ma in particolare gli asset della Cina e dei paesi maggiormente collegati a quella catena produttiva.

In termini di mercati, sarebbe più probabile il terzo scenario anche per l’effettiva sottovalutazione della maggior parte degli asset ex USA ma non va sottovalutata la politicizzazione dei capitali finanziari che sono, ancora per la maggior parte, di natura americana e controllati da operatori che provengono da quel paese.

Portafogli agosto 2019: prova di resilienza

L’aggiornamento dei portafogli benchmark, complice gli spostamenti agostani, viene pubblicato dopo la scossa subita dai mercati con la nuova vampata di Trade War lanciata dal tweet con la minaccia di alzare le tariffe del 10% su altri 300billions di scambi con la Cina. Trump ha capitalizzato la crescita americana, anche se non è forte come sperava nè sostenuta dal deciso taglio dei tassi FED come aveva chiesto. Occorre però considerare come l’atteggiamento cinese dallo scorso aprile sia stato meno accondiscendente, in special modo dopo la mossa contro Huawei: è possibile che questa minaccia non ammorbidisca Pechino ed anzi ne aumenti la resistenza, iniziando una nuova escalation commerciale. E’ questo lo scenario che i mercati hanno prezzato lo scorso venerdì, con un generalizzato calo dei corsi.

Ed è interessante vedere adesso i nostri benchmark se abbiano resistito alla correzione: una prova di resilienza a questo mercato così brusco nelle sue reazioni.

 

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la ripresa dell’azionario in luglio ha favorito il recupero di DMA_7 con un recupero sull’equity USA del 5% , un poco smorzato dalla perdita sull’azionario tedesco: per agosto conferma le scelte di luglio ma la sua esposizione esclusivamente su equity porta ad una perdita dello 2,7%, cancellando i guadagni dello scorso mese in una sola seduta

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meglio A_CDM che con la sua impostazione più equilibrata ha guadagnato di più in luglio, approfittando sia dell’equity USA che dell’oro, e che anche lui conferma le scelte di luglio in agosto. E quindi sugli azionari Emergenti perde un 3,7% ma solo per un quarto del portafoglio, e l’oro aiuta a contenere le perdite con il +1,3 di venerdì. La resilienza dell’antifragile, per riprendere i nostri articoli di qualche mese fa.

 

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Keplero non è ancora compromesso, ma i suoi dati hanno un piccolo lag che non ha ancora recepito completamente la scorsa seduta: leggendo i suoi costituenti più sensibili, si vede come per adesso si tratti ancora di un ‘glitch’ ma come potrebbe facilmente aggravarsi la situazione se non si arrivasse presto ad un ammorbidimento e la trade war si estendesse anche all’Europa o ad una Currency War.

Saranno vacanze molto calde ….

Sceriffo buono e sceriffo buono!

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C’è un grande dibattito sui media dello scontro in atto tra il Presidente degli Stati Uniti  ed il presidente della FED, probabilmente ancora oggi due dei più potenti esponenti dell’umanità del nuovo millennio.

I Tweet al vetriolo di Trump sembrano corroborare questa visione come quelli successivi all’ultimo taglio orchestrato dalla FED:

“What the Market wanted to hear from Jay Powell and the Federal Reserve was that this was the beginning of a lengthy and aggressive rate-cutting cycle which would keep pace with China, The European Union and other countries around the world As usual, Powell let us down, but at least he is ending quantitative tightening, which shouldn’t have started in the first place – no inflation. We are winning anyway, but I am certainly not getting much help from the Federal Reserve!”

L’ennesima dichiarazione di sfiducia lanciata ad un presidente che lo stesso Trump ha voluto sullo scranno della FED non più in la del 2018

Questo mentre la FED comincia un modesto aggiustamento dei tassi molto simile a quelli visti dopo la metà degli anni 90, intervenuti in una situazione complessivamente positiva ma necessari per arginare le crisi dei paesi emergenti, molto frequenti nel periodo, oppure le prime crisi finanziare (LTCM).

Gli errori che imputa Trump a Powell sono quelli di un rialzo eccessivo dei tassi e di non aver interrotto prima il QT.

Il carattere imprevedibile del Presidente USA, che poco prima delle elezioni presidenziali criticava la Yellen poiché a suo dire teneva i tassi bassi per favorire i democratici, si rivolta contro l’istituzione finanziaria per eccellenza, che nonostante le enormi difficoltà a comprendere l’andamento dell’economia degli ultimi anni, ha fatto comunque il suo  lavoro per salvare la finanza mondiale.

Personalmente, ritengo difficile che un economia USA fortemente riorientata domesticamente (MAGA), debba vivere un tale scontro istituzionale che ne può mettere in discussione lo stato di leadership mondiale monetaria.

Molto probabile che il presunto scontro politico sia invece finalizzato ad accontentare sia la pancia del paese che le elites globaliste, ciascuno lo sceriffo buono per la parte che vuole rappresentare e con Trump più spinto ed aggressivo perché interessato ad avere l’appoggio dell’elettorato americano.

Da una parte Powell, che accontenta le elite globaliste e la parte considerata razionale, quella che usa l’accademia per trarre conclusioni strategiche sulle strategie monetarie, quella che necessita di un mondo che comunque cresca anche al di fuori degli USA per  sostenere la propria espansione economica competendo da leader sui mercati mondiali.

Dall’altra Trump che parla all’America rurale e produttiva, di quella che ha disperatamente bisogno di un lavoro decentemente pagato e i cui effetti delle politiche monetarie sono arrivati solo marginalmente. Reinvestire sul sogno americano è una priorità per Trump anche se questo sogno si fonda sul debito ed ha bisogno come il pane di una FED che riduca significativamente il costo del debito e partecipi attivamente a monetizzare il debito federale.

Questo comportamento, voluto o no, crea in effetti un loop sui mercati finanziari che nel medio periodo ha caratteristiche estremamente positive per i mercati finanziari, in quanto la liquidità fa da bonaccia alla volatilità e quindi permette alle strategie carry di sostenere i mercati ed alle strategie risk parity di esporsi maggiormente al rischio.

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Abbiamo più detto più volte che negli ultimi anni la politica monetaria ha fatto da camera di compensazione per la mancanza di decisione politica o viceversa per l’eccessiva presenza politica esponendosi a rischi operativi inimmaginabili.

Negli ultimi giorni è uscito il nuovo paper di Ray Dalio “Paradigm Shifts” in cui si sostiene che da un decennio all’altro, negli ultimi 100 anni (semplificando), i paradigmi economici finanziari sono cambiati lasciando con il cerino in mano quelli che hanno continuato ad utilizzare il paradigma precedente. Ora non sappiamo se questo avverrà nel 2020 o dopo ma sono oramai molti anni che c’è una fase reflazionistica, una polarizzazione sociale evidente, degli asset finanziari soprattutto USA fortemente comprati, dei tassi estremamente bassi ed un resto del mondo in difficoltà.

Ci sono delle probabilità che tutto questo possa cambiare e che altri asset finanziari diventino i favoriti dei mercati.