Nuovi e vecchi scenari

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In un mese di Agosto movimentato, con volumi sugli indici americani tra i più alti dell’anno, segno che oramai tutti gli operatori tentano di costruire la propria operatività sfruttando i mesi maggiormente volatili perché con liquidità rarefatta, abbiamo vissuto la capitolazione definitiva dei mercati.

Però non una sola capitolazione ma diverse capitolazioni che non hanno portato ancora movimenti significativi sugli stessi ma segneranno il futuro dei mercati per i prossimi anni.

La prima capitolazione è ai live tweet di chi si pensa possa essere un market mover del mercato, sia che lo stesso dica cose vere o cose puramente politiche.

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Nelle ultime settimane la dipendenza ai tweet di Trump, alle contromisure cinesi, ai tweet dell’editore di giornale considerato vicino al partito comunista cinese e di nuovo alle dichiarazioni di Trump ha scatenato gli algoritmi in maniera pressoché impazzita portando a volatilità dei mercati sebbene senza eccessiva direzionalità. Addirittura gli asset si sono allineati alla provenienza geopolitica degli stessi con il cambio della valuta cinese più obbediente ai tweet dell’editore del Global Times mentre lo SP500 allineato alle dichiarazioni di Trump.

E’ evidente la politicizzazione dei capitali e dei mercati con l’interferenza della politica oramai diventata invasione necessaria a dare il sostegno necessario ai propri mercati azionari che soprattutto negli USA, diventano il motore per il necessario sostegno fiscale alle politiche espansive del presidente e per dare almeno alla parte più ricca della popolazione ulteriore capacità di spesa.

Con esso si può notare una dipendenza esasperata alle aspettative sui tassi da parte dei mercati con un legame, sicuramente esacerbato dei tweet di Trump, tra le aspettative di taglio dei tassi della FED ed i future azionari.

Se i tweet ed i commenti danno la direzione di breve è evidente che la composizione ed i rapporti di forza del nuovo mondo multipolare daranno la direzione ai mercati nel medio lungo termine. La ricerca dell’investimento obbligazionario anche a rendimento negativo segnala proprio la capitolazione a questa condizione di incertezza che non riguarda soltanto i due principali contendenti ma in realtà potrebbe segnalare un ansia globale a vedere il prima possibile il dispiegarsi dei nuovi rapporti di forza magari in maniera pacifica.

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Avevamo detto da tempo che l’accordo tra Cina e Stati Uniti, se mai ci sarà, non potrà contenere alcune materie essenziali per i due paesi e che vanno in rotta di collisione, dalla supremazia tech, agli approvvigionamenti energetici ed alimentari. Aver toccato questi aspetti ha portato ad una recrudescenza dei rapporti che non ha solo conseguenze sui mercati ma anche geopolitiche.

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Le tensioni in varie parti del mondo segnalano questo conflitto. A tal proposito non c’è da stupirsi che Hong Kong, paese sotto l’egida inglese fino a pochi anni fa diventi unno degli snodi dello scontro, hub finanziario tra i più importanti del mondo e quindi porta finanziaria per la Cina verso l’occidente. Dal punto di vista finanziario qualche operatore aggressivo sta scommettendo sulla debolezza del dollaro di Hong Kong e sulla fine del suo peg con il dollaro, evento foriero di una crisi finanziaria, ma noi non siamo tra questi in quanto pensiamo che la liquidità a disposizione del paese per difendere la sua valuta sia attualmente il doppio della sua base monetaria.

Quello che invece suscita la nostra attenzione è ancora una volta come le notizie vengono riportate con una finalità politica dai maggiori media internazionali e rilanciati quindi dai media nazionali meno informati. Proteste che sono per la maggior parte pacifiche ma con una numerosa frangia violenta vengono etichettate come proteste giustificate dall’oppressione cinese; lo stesso genere di proteste quando si sviluppano negli Stati Uniti o addirittura in Europa (vedi i Gilet Jaunes ad esempio) vengono invece etichettate come proteste ingiustificate e dove la descrizione delle violenze prende il sopravvento sulle componenti pacifiche ma determinate della protesta.

Perché ad un commentatore finanziario dovrebbe interessare questa differenza? Perché in un clima di polarizzazione bisogna stare molto attenti da quale fonti si prendono le notizie e quindi il grado di attendibilità delle stesse prima di fare investimenti che poi si potrebbero rilevare fallimentari.

Naturalmente la collisione più evidente è quella tra USA e Cina ma non si può pensare che gli altri paesi, coalizioni, accordi commerciali non vengano stressati da questa situazione in cui, riuscire a portare dalla propria parte conomica ora un paese ora un altro fornisce dei vantaggi competitivi nella disputa in corso.

I mezzi con cui questa sfida si sta conducendo sono quelli conosciuti ma la sfida impone a tutti icntendenti di sviluppare anche alternative plausibilie giustificabili per implementare politiche di sostegno alla propria economia.

La richesta di Trump alla FED rientra proprio in questo contesto, gli USA non hanno bisogno di un dollaro forte perchè già stanno attraendo i dollari turistici rimpatriandoli per cui la richiesta di tassi bassi ha sicuramente a che fare con la competitività del dollaro ma anche con la necessità di finanziare l’espansione del debito a tassi moderati.

La necessità di essere rieletto potrebbe però portare la sfida dal QE all’Helicopter Money cioè dal QE for rich al QE for people.

Non sappiamo se gli USA saranno costretti a fare questo passaggio, molto dipenderà dall’economia USA dei prossimi mesi e quindi dalla susseguente campagna elettorale ma nel caso è evidente che una tale politica avrebbe connotati inflazionistici ben più rilevanti che il QE attuale che si è sfogato primariamente sui mercati finanziari e sugli asset finanziari premiando anche titoli senza nessuna base economica.

Certo è che se il QE for all dovesse svilupparsi anche in versioni light, associare una maggiore potenziale domanda ad una possibile restrizione dell’offerta data da uno tra il trade war, il tech war o le commodities war potrebbe causare uno shock dell’offerta con implicazioni che ben pochi investitori viventi sono in grado di calvalcare per esperienza.

Questo sarebbe anche coerente con un bottom importante dell’obbligazionario e quindi con una aumento del costo del debito che necessiterebbe di sistemazioni creative.

Ma come detto negli ultimi interventi per succedere questo occorre che prima negli operatori si consolidi la percezione che ci sia un cambio di paradigma rispetto agli ultimi anni e spesso questo cambio di paradigma ha la necessità di una correzione importante che colpisca proprio i mercati dominanti e più forti del periodo.

Questi al momento sono stati la maggior parte dei mercati anglofoni che hanno ricevuto infusioni di capitali importanti che premiano la propria condivisione al modello economico della superpotenza dominante degli ultimi 100 anni che a sua volta mostra una forza relativa verso praticamente tutti i mercati mondiali.

Finchè il momentum e la forza relativa premierà questi mercati vuol dire che il mercato scommette che nel conflitto tra superpotenze il modello economico e la forza politica e militare degli USA avranno ancora una volta il sopravvento. D’altronde essendo la potenza incubent è anche naturale che in una fase di tensioni multipolari prima di abbandonare la barca dominante si attende che la stessa abbia almeno acqua nel motore.

Se invece si sviluppasse una correzione che colpisse con forza queste realtà non manifestando più la sovraperformance del periodo precedente  allora è possibile questo cambio di paradigma che per le resistenze dette sopra, per gli inevitabili conflitti, che si sperano solo economici, che si materializzeranno potrebbero portare allo scenario descritto prima e quindi ad una fase maggiormente inflazionistica dove gli asset finanziari sottoperformerebbero molti asset reali.

Naturalmente c’è chi spinge per evitare questo tipo di scenario; tra di essi la voce più autorevole si è sentita all’ultimo simposio di Jackson Hole, quando Mark Carney Governatore della banca Centrale Inglese ha invitato gli operatori a riflettere su una revisione complessiva dell’architettura monetaria attuale, attraverso la sostituzione della moneta di riferimento mondiale dal dollaro ad una valuta elettronica con caratteristiche simili alle criptovalute ma naturalmente controllata da un istituzione internazionale. Non molto diversa dalla proposta pre Bretton Woods da parte di J.M. Keynes di istituire il Bancor per regolare gli scambi internazionale, valuta che non venne mai presa in considerazione per l’opposizione americana che volle il dollaro al centro degli scambi.

Ora è evidente che la finestra per far digerire una tale valuta è molto stretta visto il crescere delle tensioni globali che rendono sempre più improbabile un tale e simile accordo oltre a quanto riservato dagli USA ai paesi che solo minacciano di utilizzare sistemi di scambi diversi da quelli di natura statunitense.

La volatilità ricercata disperatamente dagli operatori dei mercati finanziari ha quindi accentuato la fase conflittuale tra le potenze economiche globali ma ancora è poco chiaro chi potrà prevalere in questo scontro ed è evidente che chi vincerà probabilmente detterà le regole per i prossimi anni.

In questo scenario l’Europa latita e non sarà certo un G7 gestito con il french touch a cambiare la situazione; quando il continente è alle prese con frizioni interne che ancora faticano a ricomporsi ritardando di fatto ogni possibilità di sviluppare un idea di Europa più corrispondente agli interessi complessivi del continente.

 

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